Con l’avvicinarsi del fronte bellico, Palestrina divenne un presidio delle truppe tedesche. Di certo, non venute in città in veste di turisti – a guisa dei loro connazionali Mann – ma per istallarvi: il comando delle operazioni e tre ospedali militari, ubicati nel nuovissimo palazzo Lulli, nell’edificio scolastico in viale della Vittoria e nel Seminario Vescovile, nella piazza principale. Gli abitanti sotto alcuni aspetti furono fiduciosi: la città-ospedale non sarebbe mai bombardata, entrava nelle regole di Ginevra e si era consolidata l’idea che Palestrina divenisse una “città aperta”. In verità, questi luoghi servivano a ospitare i soldati provenienti dal fronte di Cassino.
Alcuni reparti militari, affranti dalla fatica, arrivarono a Palestrina il pomeriggio del 21 gennaio 1944. Un ufficiale tedesco entrò in seminario e giunse all’ultimo piano dove i pochi seminaristi erano intenti a studiare e con voce imperiosa ordinò a tutti di scendere in piazza. Tra il panico scesi anche io. Dovemmo scaricare dagli automezzi: zaini, coperte, casse pesanti, armamenti. A sera sfiniti, tornammo a casa e i nostri genitori constatarono che eravamo pieni di pidocchi dalla testa ai piedi. Ci dovemmo assoggettare a essere spogliati anche degli indumenti più intimi. Nel nostro bagno c’era già la vasca smaltata e mi fecero un lavaggio caldissimo e una disinfestazione della testa con lozione a base di petrolio. Cominciò così la nosta odissea.