I RUSSI IN AZIONE

I sovietici, insieme a Dante Bersini e altri, si appostarono ai margini della strada, in attesa di una autocolonna tedesca che presto sarebbe passata in quella zona. Subito, sostiene la Capponi, ha inizio il fuoco di sbarramento che blocca la colonna dei mezzi tedeschi; un autotreno con rimorchio carico di munizioni esce di strada, il combattimento si fa accanito. I partigiani riescono ad incendiare un camion carico di fusti di benzina; 1500 litri vanno perduti e provocano l’esplosione delle munizioni trasportate dall’autotreno. Perdono la vita in questo scontro tutto l’equipaggio tedesco compresi i motociclisti di scorta al convoglio.

Al sopraggiungere di rinforzi tedeschi il gruppo partigiano, rimasto incolume, riesce a ripiegare e sfuggire alla rabbiosa reazione dei nazisti.

Carla Capponi

UN CUMULO DI ROVINE

Il 1 giugno del 1944 una tempesta di bombe veniva rovesciata dagli aereoplani alleati su Palestrina, che in pochi minuti riduceva ad un cumulo di rovine gran parte della nostra bella cittadina. Molte le vittime, molti i danni. Tra gli altri la chiesa della SS. Annunziata veniva letteralmente rasa al suolo. Durammo fatica, quando alcuni giorni dopo il disastro potemmo da Roma, ove ci eravamo rifugiati, raggiungere Palestrina a identificare il posto”.

Ferracci – Testimonianza Diretta

I DUE COGNATI

….I rastrellati erano di Poli, Gallicano, Palestrina, Castel San Pietro, Rocca di Cave, Cave. Soltanto i due cognati (i partigiani Calcagna e De Angelis) fuggiti da Valenza erano tenuti in disparte e guardati più da presso. I 300 furono incolonnati e condotti a piedi ad uno dei comandi di Palestrina. Dopo il primo sommario interrogatorio la moltitudine dei rastrellati fu condotta a Cave, una parte a piedi e l’altra su autocarri. A Cave furono portati nel piazzale di una grande segheria, nei pressi del cinema. I due Partigiani erano però sempre sotto sorveglianza speciale, isolati dagli altri, addossati ad una grande palma. I tedeschi iniziarono un nuovo interrogatorio dividendo i rastrellati in due gruppi: i più giovani – quelli al di sopra della classe 1912 – li caricarono su degli autocarri e li condussero a Cinecittà; gli altri, dopo essersi accertati della loro identità, li lasciarono liberi. I due invece furono trattenuti a Cave. A Cinecittà fu detto ai nuovi arrivati che erano internati Civili di Guerra. La mattina venivano condotti su camion a lavorare nella zona operativa di guerra di Campoleone. La sera, gli internati venivano riportati a Cinecittà. Era stato loro detto che per ogni internato che fuggiva ne sarebbero stati fucilati 10. Durante i 25 giorni di permanenza a Cinecittà fuggì un internato. Quando i tedeschi se ne accorsero fecero interrompere il lavoro e un maresciallo ordinò che fossero presi i primi 10 uomini che avessero la pala. Furono allineati a ridosso di un terrapieno. Vennero puntate le armi e ci furono gli spari. Le raffiche passarono a un metro sulla loro testa. Un severo e crudele ammonimento.
I due trattenuti a Cave ebbero sorte peggiore. Qualcuno riferì di averli visti legati per il collo ad una fune, trascinati da un autocarro. Di essi si perse ogni traccia.

RASTRELLAMENTO SAN CLEMENTE

Fra i rastrellamenti eseguiti dai nazisti nella zona Prenestina, particolare attenzione merita quello dei primi di maggio. Attuato sia per liberare le retrovie dai Partigiani, sia perché occorrevano uomini da utilizzare nelle retrovie della testa del ponte di Anzio. Furono impiegati circa tremila militari, provenienti anche dai territori di Cave, Palestrina, Rocca di Cave, Castel San Pietro Gallicano, Poli. I tedeschi procedevano alla distanza di 10 m l’uno dall’altro. Di tanto in tanto, lasciavano partire raffiche di mitra contro siepi e lanciavano bombe a mano nei fossati. In contrada Valenza, tra gli sfollati, c’erano molti giovani che tentarono di fuggire verso la montagna, con l’intenzione di portarsi sempre più su fino a Guadagnolo. Anche due giovani cognati Calcagna e De Angelis che, alla notizia del rastrellamento, avevano lasciato le giovani spose con i figlioletti e si erano diretti verso un costone brullo, per raggiungere la provinciale. A circa 100 metri da essa furono scoperti da una pattuglia. Uno dei due aveva con sé una pistola ed una bomba a mano, ma vennero comunque catturati.

GLI AMERICANI ENTRANO IN CITTÁ

«Dopo le cruente battaglie sul fronte di Cassino, l’esercito alleato finalmente riuscì a sfondare la resistenza tedesca. Avenano bombardato a tappeto tutti i paesi dove dovevano transitare, come Valmontone e Palestrina.
Fu così che il 4 giugno scoprimmo l’America! Quello che ci colpì maggiormente fu la modernità dell’enorme equipaggiamento militare: armi sofisticate, mastotondici carri armati e le mitiche “Jeep”.
Alcuni soldati avevano ricevuto l’ordine di dialogare con i civili e distribuirono ogni ben di Dio: pane bianchissimo, carne in scatola, farina di piselli e di uova, formaggio in scatola, cioccolato e sigarette “Camel” chiuse in barattoli. In seguito arrivarono ingenti aiuti – come ho accennato ieri – dal “Piano Marshall”, che salvarono tutta l’Europa dalla fame.
Gli americani calzavano scarponi anfibi e indossavano una divisa elegante con la camicia e “foulard” di seta, tanto da sembrare tutti ufficiali. Un colonnello dichiarò che stava arrivando al porto di Napoli “un enorme vapore carico di grano”.
In seguito arrivò di tutto: latte condensato, pasta, riso, alimentari di ogni genere, medicinali e insetticidi da distribuire a tutti.
Per organizzare la consegna dei beni, si presentò al Comune un ufficiale militare americano con un sergente: voleva conoscere il numero degli abitanti per regolarsi sulla fornitura da inviare.
Pietro Tagliaferro, responsabile dell’anagrafe, furbescamente aumentò il numero degli abitanti, da 7.500 a 10.000 unità. Non aveva fatto i conti col sergente che, in dialetto napoletano, disse: – Ne vaglio’… cca’ nisciuno è fesso. Ndo’ semo transiti avimmo trovato la popolazione assai cresciuta. Nu’ è mmuorto nisciuno colla guerra?
Pietrino, ignaro, si era imbattuto con un italo-americano e per giunta napoletano.
Con il denaro e le provviste degli americani, l’Amministrazione comunale organizzò anche la colonia estiva. Nel convento delle Antonelli, centinaia di bambini ricevevano la colazione, il pranzo e la merenda, dopo essere stati rasati e disinfettati. Furono riuniti in gruppi secondo l’età e venivano accompagnati in montagna ogni giorno. Feci parte dei “signorini” e delle “signorine” che avevano il compito di vigilare sulla loro incolumità. Al termine della stagione, fummo riforniti di scatolette di carne, farina bianca come la neve, latte e uova in polvere, formaggio, coperte, seta. Fu il mio primo “lavoro” retribuito. La gioia fu incommensurabile!».

Tomassi, testimonianza diretta

LA GALLINA NERA

«Qando tornammo da Guadagnolo, ricordammo due fatti inquientanti che erano accaduti la viglilia del primo e del secondo bombardamento sulla città. Dalla contadina che ci portava le uova fresche a casa una volta alla settimana, mamma comprò anche una grossa gallina nera che faceva due uova al giorno. Durante la notte del 22 gennaio, si mise a cantare lugubramente. Il quadro di S.Antonio da Padova, protettore degli edili, cadde dalla parete e andò in frantumi. I due avvenimenti, nella credenza popolare e dettati da ignoranza o da paura, erano di malaugurio in quanto forze occulte erano ritenute portatrici di influenze per lo più negative. Così, quando un quadro cade annuncia una disgrazia e se la gallina canta annuncia la morte di un parente. Se poi aggiungiamo che il numero civico del nostro palazzo era il 13, arriviamo al massimo della disgrazia. Credenze popolari dunque, ma la realtà fu devastante perchè zia Antonietta con le due figlie rimasero sotto le macerie  del loro palazzo, sito davanti la chiesa di S. Antonio. Ma la lista non finisce qui: il nostro palazzo cadde e altri cinque parenti furono fucilati dai nazisti».

Tomassi, Testimonianza diretta

L’INTERPRETE

« La bibliografia prenestina è ricca di testimonianze di falsi “eroi”. Tuttavia tra i diari, i ricordi e i romanzi, nessuno ha speso una parola per ricordare l’opera di Agusto Rossi, nipote di mamma Amelia, che rischiò tantissimo in situazioni difficilissime. Augusto parlava correttamente l’inglese e – dopo l’armistizio- era tornato a casa dall’Accademia Navale di Livorno, a Costa Mariola, zona di Castel S. Pietro, dove eravamo sfollati. Qui organizzò un piccolo centro di raccolta per i prigionieri fuggiti dai campi di concentramento e ebrei, ospitandoli in grotte e in capanne di pastori. Al calar della sera, i fuggitivi si avvicinavano al nostro fienile, facendo sentire la loro presenza attraverso un fischio convenzionale. Davamo loro tutto quello che Augusto aveva reperito durante il giorno ed io ero un piccolo vivandiere. La loro corrispondenza era consegnata al Consolato Svizzero, il quale provvedeva a farle arrivare a destinazione. Attraverso l’entratura in Vaticano conobbe mons, Hungh O’Flaherty, che in quel momento stava aiutando civili, perseguitati ebrei e militari evasi dalla prigionia alloggiandoli in conventi e nei poderi periferici di Roma. Le persone che salvò si calcola possano essere circa 6.500. Per questo, lo Stato Israelita e gli Stati Anglo-Americani a guerra ultimata, lo insegnì. E la sua storia fu raccontata in un film.

Quando gli americani entrarono a Palestrina, Augusto fu assunto come interprete nel quartier generale situato a villa Memmo. E proprio quel posto gli servì a salvare alcuni concittadini che si erano cacciati in situazioni alquanto “difficili”. Bill, uno dei militari aiutato da Augusto a Costa Mariola, riprese subito il suo ruolo di soldato. Ricordo che lo andammo a trovare ai Casini Barberini dove era accampato e dovetti bere una “cosa” calda che più nera non esisteva. Era la bevanda preferita. Di Augusto si potrebbe raccontare e raccontare, ma mi fermo qui ».

Tomassi, testimonianza diretta.

ARRIVANO I TEDESCHI

Con l’avvicinarsi del fronte bellico, Palestrina divenne un presidio delle truppe tedesche. Di certo, non venute in città in veste di turisti – a guisa dei loro connazionali Mann – ma per istallarvi: il comando delle operazioni e tre ospedali militari, ubicati nel nuovissimo palazzo Lulli, nell’edificio scolastico in viale della Vittoria e nel Seminario Vescovile, nella piazza principale. Gli abitanti sotto alcuni aspetti furono fiduciosi: la città-ospedale non sarebbe mai bombardata, entrava nelle regole di Ginevra e si era consolidata l’idea che Palestrina divenisse una “città aperta”. In verità, questi luoghi servivano a ospitare i soldati provenienti dal fronte di Cassino.
Alcuni reparti militari, affranti dalla fatica, arrivarono a Palestrina il pomeriggio del 21 gennaio 1944. Un ufficiale tedesco entrò in seminario e giunse all’ultimo piano dove i pochi seminaristi erano intenti a studiare e con voce imperiosa ordinò a tutti di scendere in piazza. Tra il panico scesi anche io. Dovemmo scaricare dagli automezzi: zaini, coperte, casse pesanti, armamenti. A sera sfiniti, tornammo a casa e i nostri genitori constatarono che eravamo pieni di pidocchi dalla testa ai piedi. Ci dovemmo assoggettare a essere spogliati anche degli indumenti più intimi. Nel nostro bagno c’era già la vasca smaltata e mi fecero un lavaggio caldissimo e una disinfestazione della testa con lozione a base di petrolio. Cominciò così la nosta odissea.

SPOSTARSI, SPOSTARSI SEMPRE

Bersini ricorda:

« La mia attività di partigiano ebbe inizio ai primi di ottobre del 1943. Odiavo i tedeschi per i soprusi e le razzie che facevano un po’ ovunque e per i rastrellamenti che già a settembre erano iniziati nella nostra zona. Inizialmente, fui un isolato. Venni a sapere che alcuni russi, già fuggiti da un campo di concentramento di Monterotondo, erano stati inviati a Zagarolo dal C. L. R. che aveva rapporti con loro. Il C. L. N. Prenestino disse ad esponenti del comitato di Zagarolo di prendere contatto con me. A me non parve vero! Era un’occasione insperata di costituire una banda che potesse finalmente attuare quelle azioni di guerriglia sabotaggi e di incursioni varie che soltanto una formazione di un certo numero di uomini, animati da fede e da coraggio, può mettere in atto. Non erano armati come si deve ma per azioni di sorpresa le armi erano sufficienti. Subito si sparse la notizia che con me c’erano dei russi. Siamo rimasti alle Tende per qualche tempo, quando però, specialmente dopo il primo bombardamento di Palestrina( 22 gennaio 1944) le campagne si popolarono di famiglie sfollate dalla cittadina, iniziammo a spostarci: adottai cioè ancora il metodo che avevo già sperimentato quando ero solo: spostarsi spesso per non cadere in agguati. Poi ci siamo portati a mezza costa sulla montagna… »

IL MANIFESTO

«È stato oggi affisso per le vie cittadine un manifesto della Sezione di Palestrina del Partito Fascista Repubblicano, costituisi in data 28 Ottobre 1943. Con un occhio al futuro ed uno al passato, quando il 22 Maggio 1924, il Commissario prefettizio Steno Pelatti, aderendo alle richieste pervenutagli da parte della grande maggioranza della popolazione, aveva deliberato di conferire a S. E. Mussolini la cittadinanza prenestina. E di inviargli una pergamena che recitava: “Dagli storici Monti che guardano a Roma, Palestrina, l’Antica Preneste che fu la culla al sommo Pierluigi, oggi ritemprata dalla giovinezza della nuova italianità, plaude ammiratrice entusiasta a S. E. Benito Mussolini e lo crea e lo esalta suo Cittadino Onorario per averlo anche più da presso ed esprimergli in ogni ora il suo affetto e la sua venerazione come al più grande restauratore della nostra Italia diletta».