«Ore 9:30. Mentre scrivo questo diario il tremendo rumore della mitraglia mi fa abbandonare. Mi rannicchio in un angoletto e aspetto la fine. Momenti terribili e indimenticabili. La mitraglia fischia con il rumore metallico, le bombe esplodono fortissime. Passata un po’ la paura, andiamo a fare un giretto. A Palestrina, regna il pieno caos: chi fugge da una parte, chi grida, chi si lamenta. Quante scene pietose! Giungiamo in piazza Santa Maria degli Angeli. Qui i primi morti distesi in un lago di sangue: righettino il calzolaio e Licurgo, il figlio di Urbano, giacciono crivellati a terra. La piazza è un crivello, è tutta un buco. Giunti davanti alla porta della Bottega di Minicuccetto, troviamo Giovanni lo zoppo che giace a terra con un visibile buco nella nuca. È una giornata infernale. Centinaia di apparecchi di ogni genere sorvolano Il cielo in ogni direzione. Ci dicono del bombardamento di Capranica dove si calcolano molti morti, fra cui sei di Palestrina».
IL FAZZOLETTONE
«Il mio compito è cercare di procurare legna. Ma all’improvviso un grido:
– I tedeschi!!!
Zia Angelina non perde la calma, mi chiama, mi ordina di indossare il suo vestito e di mettermi un fazzolettone sul capo, mi dà un coltello e un cesto e mi ordina di andare a fare la cicoria. I tedeschi mi guardano e poi vanno via. Così mi salvai dal rischio di finire al fronte di Cassino o in Germania. Il cannone si fa sentire forte e incomincia a colpire i nodi stradali a pochi chilometri da Palestrina. Gli alleati a 13 km da Frosinone. Capranica bombardata per la seconda volta».
I visi della disfatta
Verso le 14 Palestrina viene bombardata per la sesta volta. Le Casacce, il Seminario e la Cortina sono i punti maggiormente colpiti. Gli alleati con la loro avanzata, finalmente travolgente, occupano Artena puntando su Valmontone e Labico. Si spera che presto Palestrina sia liberata. Passano i tedeschi afflitti, avviliti, disarmati; portano sul viso i segni dello scoraggiamento e della disfatta. Mille voci si divulgano, ma per ora non si sa la verità. Gli alleati ancora non arrivano.
UN SABATO DI BOMBE
«Alle 7:30 del 22 gennaio di 50 anni fa, Palestrina fu sottoposta ad un violento bombardamento seguito da un altro di minore intensità verso le 16. I danni furono ingenti. Le zone più danneggiate furono via Thomas Mann, via Verrio Flacco, la Santissima Annunziata, via del Borgo, Porta Santa Croce, Viale della Vittoria (edificio scolastico), Santa Maria degli Angeli, Palazzo Lulli e Sabatuccio. E in maniera più lieve, la stessa cattedrale. I morti furono 88 e i feriti oltre 100. Tutta la città era sotto shock: lamenti dei feriti e pianti di disperazione gettavano i nostri animi un senso di vuoto, di rabbia e di paura. Alle mie narici tornavano violenti e gradevoli gli altri odori dell’esplosivo e dei calcinacci che mi avevano perseguitato nei due precedenti anni di guerra a Bengasi e in Tunisia e che mai avrei creduto di ritrovare nella mia Palestrina. Anch’io corsi subito a portare un po’ di aiuto in via Verrio Flacco, ma dovetti quasi subito lasciare quella attività perché, insieme al Caporale Egidio Galeazzi – comandante della Brigata Patrioti Preneste, di cui ero vice comandante – e Francesco Sbardella – membro come me del comitato di Liberazione Nazionale – ci recammo in comune dove “armata manu”destituimmo l’allora commissario Dell’Aquila (in precedenza Segretario comunale), assumendo il controllo della città. Dell’Aquila non oppose alcuna Resistenza e noi, come primo atto, provvederemo subito a distribuire alla popolazione un po’ di pasta giacente nel panificio (mi pare fossero 22 quintali). Questo facemmo nel convincimento che i tedeschi stessero per lasciare la città e che gli alleati sarebbero arrivati presto. Quel giorno, per noi si accese una fiammata di entusiasmo e di speranza, fiaccata subito dai tedeschi, tornati in forze il giorno dopo, come sapevano ben fare loro».
GLI OCCHIALI SALVANO LA VITA
«Al primo nucleo di partigiani sovietici si aggiunge un gruppo proveniente da Paliano. Prigionieri sovietici fatti fuggire dalla terribile Fortezza dai Partigiani di Paliano, che pagarono poi con l’arresto il loro coraggio. Dorascenzi li conduce verso Palestrina. A metà strada, si incontrano con Lucio Lena, il commissario politico della banda Bersini. Lucio li deve guidare alla base. Mentre attraverso i campi, verso Palestrina, vengono avvistati da una pattuglia nazista, che sta operando un rastrellamento. Sono quasi tutti ancora disarmati. Lucio Lena prontamente decide di far ripiegare il gruppo verso una boscaglia, mentre lui continuerà ad avanzare tra i campi verso i tedeschi in modo da farsi prendere, sicuro così di ritardare almeno per qualche minuto l’avanzare dei nazisti e forse di evitare lo scontro. Difatti, come previsto viene preso. La pattuglia, comandata da un ufficiale, gli chiede subito chi erano gli altri uomini. Lena dichiara di non conoscerli, ma i nazisti non si accontentano; lo vogliono interrogare con i soliti infallibili metodi. Lucio ha gli occhiali e i nazisti glieli strappano via. L’ufficiale nazista per curiosità vi guarda attraverso, poi scoppia in una risata. Lucio è miopissimo e anche emeretrope. L’ufficiale comprende che un uomo così cieco non può certo fare il Partigiano e lo lascia libero. Lucio riesce a raggiungere un valloncino boscoso, ove trova i sovietici e Doracrescenzi. Ora la formazione è numerosa – i sovietici sono 18- e le armi, tolte nazisti durante le reazioni effettuate, sufficienti a renderli efficienti. Da questo momento si susseguono ininterrottamente gli attacchi contro i nemici in transito».
IL TRINCERONE
«Un altro fatto venne ad accrescere l’angoscia della intera popolazione, negli ultimi tempi. Alcuni grandi ufficiali tedeschi erano andati a fare delle osservazioni e prendere delle misure sulle alture del monte di Rocca di Cave. In quest’occasione, un gran segnale, con tinta bianca e nera assai visibile, fu piantato sul campanile di S. Carlo, forse come punto di riferimento. Vero o no, quel che si disse, il fatto certo fu che, di lì a poco, due avvenimenti si verificarono presso di noi. Molti soldati tedeschi, aiutati dai nostri cittadini, erano impiegati a fare un grande trincerone. Partendo da Cave, Collerano e sulle falde della montagna di Rocca di Cave, sarebbe arrivato fino a Velletri! Il lavoro infatti, fu cominciato in più punti. Col fare un gran fosso e mettere a sud di esso, copiosi e intricati intrecciamenti di fil di ferro spinato.
L’altro avvenimento fu che si cominciarono a fare, poco sopra S. Maria del Monte, sulla montagna di Rocca di Cave, con una macchina perforatrice, il cui stridore si sentiva a molta distanza, varie buche sulle pietra. Avrebbero dovuto – si diceva – contenere cannoni di grossissimo calibro per la grande resistenza che i tedeschi avrebbero fatto proprio qui a Cave, dopo lasciato Cassino e Nettuno.
L’impressione, la paura, le trepidazioni per questa probabile resistenza Tedesca a Cave – che avrebbe causato il tanto temuto rastrellamento di tutta la popolazione e distrutto quanto di fabbricati, alberi, vigneti, stabilimenti, chiese erano a Cave e sul suo territorio – fu semplicemente enorme. Tanto piu che i soliti bene informati davano già per sicura la cosa, coi più svariati particolari. Il trincerone era solo a pochi passi da Cave, cominciando esso dall’oliveto dell’ingegnere Antonino Clementi, a Collerano o Pratarone, per proseguire su Santo Stefano Vecchio, Speciano, Morino, Valli, Colle Casalecchio, e poi per colle Cruci, Cipolletta, Valle Copella, Valmontone e Velletri.
E difatti, il lavoro già stava un bel pezzo avanti, quando fu bruscamente sospeso. Sia ringraziato Dio! Sospeso, forse perché si avvicinava la cacciata dei tedeschi? Non sappiamo. Il fatto ha visto da allora le cose precipitare davvero. Alcuni tedeschi avevano detto in confidenza ad alcuni loro inservienti di qui, che, ormai, era questione di ore per la fine, perché le cose sul fronte di Nettuno peggioravano per essi, di giorno in giorno».
LI FUCILAMMO
«I tedeschi si erano già accomodati. Avevano messo una pentola sul fuoco, avevano preso delle galline, le avevano uccise ed attendevano che l’acqua bollisse per affogarle onde spennarle. Tra gli anfratti, a circa cinquanta metri dalla casetta, resomi conto di come stavano le cose, feci cenno alla nostra guida di tenersi da parte, mentre feci cenno ai russi di avanzare cauti a semicerchio. Io ero al centro. Ci accostammo strisciando a terra per non essere visti. A circa dieci metri, balzai in avanti gridando l’alt, al che fecero seguito immediato i russi. I tedeschi, sorpresi ,alzarono le mani. Solo uno tentò di reagire, ma un russo, con il calcio del mitra, un altro po’ gli faceva saltare il mento. Furono disarmati; poi ,attraverso una gola, li conducemmo sotto la montagna e là li fucilammo.
Siccome in quel punto alcuni carbonai stavano facendo del carbone a legna, li gettammo dentro quella fornace (naturalmente i carbonai, intanto che nella fornace maturava il carbone, tagliavano il bosco altrove, sicché non videro e non seppero nulla). Per ogni precauzione, sapendo che a Palestrina – cioè nel territorio di Palestrina – la situazione si era andata rendendo pesante e poteva esplodere da un momento all’altro contro la popolazione stessa, e poiché quel punto era proprio a due passi da Palestrina, volli fare qualcosa in più: feci, ovvero facemmo, scomparire anche ogni traccia di sangue. Ciò fu provvidenziale, perché la mattina dopo, quella zona fu setacciata palmo a palmo. Si pensi a cosa sarebbe accaduto se non avessimo fatto sparire tutto, se quindi avessero solo avuto sentore di quel che era successo».
Bersini – testimonianza diretta –
IL RANCIO – LE BOMBE
Il 17 Maggio 1944 a mezzogiorno in punto, si ebbe il secondo bombardamento su Cave; bombardamento scaricatosi, violentissimo, sopra la Villa Clementi, presso S. Carlo.
Era l’ora del rancio, e perciò tutti o quasi tutti i soldati, che erano accampati a Cave, vi si trovavano; dato che ivi era la cucina generale. Gli scoppi furono moltissimi ed efficacissimi. Le buche fatte dalle bombe sul terreno e sulle adiacenze della villa, mentre il palazzo fu toccato poco dalle bombe, erano profonde dai quattro ai cinque metri.. Nel momento di questo spaventoso bombardamento, un sergente Tedesco, di nome Paolo Leman, di passaggio presso i locali del Tiro a segno, vi si rifugio -tremava come una foglia, poverino. Subito dopo cessato il fragore delle bombe e degli apparecchi, scesi a bassissima quota, grida e urla strazianti si fecero sentire nei dintorni della villa fatale. La nostra casetta, per esser non lontana dalla villa, in breve ora si riempi di gente terrorizzata. Uomini, donne, fanciulli, bambini, in
preda alla piu grande commozione, vennnero a rifugiarsi da noi…
Demmo qualche parola di conforto; demmo qualche goccetto di vino per la paura.. .. venuta la sera, le grida strazianti dei parenti dei morti, duravano ancora nei pressi di Villa Clementi. Poi la notte, col suo manto funereo, copri ogni cosa, cessando ogni segno di vita, se vita poteva dirsi quella di quel giorni con tanti strazi e paure.
CRIMINI MAROCCHINI
«La guerra era finita presso di noi. Cosi fu in realtà e tutti ne gioimmo, come naturale, dopo tante paure e sofferenze di ogni sorta. Senonché proprio il giorno appresso della venuta delle truppe Anglo-Americane, cioè il lunedì 5 giugno, si cominciarono a divulgare in paese e nella campagna certe voci (e le voci citavano fatti veri, concreti, indiscutibili) che non pochi soldati Marocchini e Neri, delle truppe anglo-americane, nonostante l’energico intervento dei comandanti, andavano facendo delle brutalità con quante ragazze e donne avessero incontrate. Fu panico generale specialmente per le ragazze, molte delle quali, poverette, dovettero star nascoste nelle soffitte, nelle grotte, in mezzo ai campi, tra i lupini e cespugli, tanto il giorno quanto la notte».
CREDEVAMO DI IMPAZZIRE
«Dalla sera del 1 giugno 1944, le cannonate, che nei passati giorni si erano sempre più avvicinate, in arrivo o in partenza, nella parte di Artena e di Valmontone, cominciarono a farsi sentire anche in contrada Palme. Aumentando sempre più l’angoscia per gli ultimi decisivi avvenimenti. A dir la verità, fino a quel giorno, noi eravamo lusingati che gli anglo-americani sarebbero andati a Roma, passando solo per la Via Casilina. I colpi su Colle Palme, ci avevano ormai tolto ogni filo di speranza. Ormai, noi stessi eravamo sul punto di non poter più uscire dalla nostra casetta, senza correre il serio pericolo di ricevere qualche colpo o scheggia di mitraglie. Per tutto il dopo pranzo del 1 giugno, fino a notte inoltrata, i colpi di cannone verso Valmontone, in direzione della Casilina, a Nord, come a Sud-Est, furono così continui e così assordanti che credevamo proprio di impazzire. Ci fu detto che la truppa degli anglo-americani, dopo essersi fermata una trentina di ore nel Colle Cipolletta, giunse a Palme e si accampò nelle vicinanze della chiesola della SS. Trinità, la notte tra il venerdl e sabato 3 Giugno».