SCARPONI FERRATI

«Uno scossone violento mi strappa dal sonno. Ci sono I tedechi. Stanno girando per le case. Dalle fessure delle imposte all’incerta luce dell’alba, vedo la strada sottostante gremita di soldati tedeschi coi fucili automatici imbracciati e le granate a mano infilate nella cintnura. Due di essi stanno uscendo da una casa cacciandosi avanti a spintoni un disgraziato, semi vestito. Aferro tutta la mia roba, e arrampicandomi sull’armadio entro nella botola della soffitta. Nell’oscurita l’attesa è penosa. Sono sdraiato sull’impaintito di legno, immobile, la rivoltella nella destra. Il cuore alterna battiti lenti e staccati a ritmi precipitosi. Se venissero qui? Sparerei ai primi due o tre. E poi? Morirei come un topo. Scarponi ferrati stridono sui gradini della scala. La scala di questa casa? Quella della acsa dei vicini? il cuore sembra impazzire. I suoi battiti sono martellate dolorose che scuotono il petto e sembrano rintronare nel buio».

Levi – Testimonianza diretta

LA BABELE DELLA RESISTENZA

… Il 2 giugno giunge al battaglione l’ordine di partire il giorno dopo. Il caricamento dei mezzi organici e la sistemazione delle munizioni richiedono l’intera giornata.
Il 3 giugno, dalle 8, il battaglione salì sui camion del treno e, alle 10, la colonna si muove verso nord, verso Roma…. Poche distrazioni, poiché la fuga dei tedeschi è stata rapida dopo la rottura della linea Hitler… una sosta di mezz’ora ci consente di sgranchirci le gambe e fare uno spuntino. Dopo aver tagliato la ferrovia Roma-Napoli, la colonna sbuca sulla strada nazionale n.° 6 (Via Casilina) e punta su Roma in direzione di Valmontone, dove il 3° Spahis, si è appena riunito ai blindati americani.
Il 3° battaglione riceve il compito di impossessarsi di Palestrina e Castel San Pietro dopo aver risollevato gli americani impigliati da due giorni nella pianura ai piedi di questi due paesi importanti che dominano la valle di colture e vigneti dove passano dritte le strade di Roma e Tivoli.
Tivoli… Palestrina… nomi che evocano in noi ricordi letterari e artistici; ma non è quello il momento di gustare da dilettante le gioie dello spirito.
Verso le 18 il battaglione si raduna, materiali in spalla, avviandosi progressivamente in piccole colonne, come un filo di Arianna, una linea di forza, dirigendosi da est di Valmontone a Palestrina… Notte magnifica e stellata, noi proseguiamo sempre verso Palestrina. L’aviazione nemica sempre in attività sulle nostre teste.
A partire dalle 5.30 alcune pattuglie .. sondano i confini a su di Palestrina e di Castel San Pietro. Il tedesco sembrava aver liberato (abbandonato) il luogo. I due grandi paesi, vere cittadine, posti l’uno sull’altro sino a confondersi, risplendono nel loro colore ocra e rosa delle facciate. In alto, a 680 metri d’altitudine, un vecchio castello feudale, smantellato, innalza il suo maschio ancora intatto. Alcune mine cadono ad ovest nelle vicinanze di Palestrina.
Per la prima volta dall’inizio della campagna si presentano al P.C. del battaglione alcuni “partigiani” italiani con il bracciale tricolore verde, bianco e rosso. Essi offrono i loro servizi, propongono di guidare “le colonne d’assalto” nel cuore dei loro paesi, ma aggiungono che il tedesco ha appena sloggiato nel corso della notte, a parte alcuni gruppi barricati nelle case ai confini ovest di Palestrina.
Un francese della Tunisia è tra di loro. Deportato in Italia dalla falange africana, durante l’inverno del 1943, è riuscito ad evadere e si è dato alla macchia con i resistenti italiani. Egli segnala che più a est, in alta montagna, un maquis (partigiano) russo batte la campagna, in attesa dell’arrivo dei liberatori… è la Babele della resistenza europea, che ci si presenta all’improvviso.
… viene dato l’ordine all’11° e al 9° di spingersi immediatamente e con massima celerità nei due paesi, con il compito di ridurre rapidamente i gruppi sporadici di resistenza che si potrebbero ancora trovare.
L’11° Cie occupa, alle 9, tutta Palestrina, dopo aver travolto un gruppo nemico che era riuscito a scappare.
Il 9° Cie si porta, attraverso l’est di Palestrina, a Castel San Pietro che occupa, alle 10:00, senza reazione da parte del nemico, ma dopo una marcia spossante (un dislivello di 600 mt), sotto il sole, tra ghiaie e rocce bruciate. La sezione dell’aspirante ufficiale ZENIN pianta i tre colori sul vecchio maschio segnato dalle armi dei Colonna, assistenti al soglio pontificio.
Senza indugio, gli uomini sono invitati, autorità comunali in testa, a liberare la strada a tornanti che mette in comunicazione i due paesi, per consentire ai nostri veicoli di salire. Gli effetti dell’aviazione americana appaiono in tutta la loro potenza distruttiva: immobili di 4 piani sono stati completamente rasi al suolo. L’itinerario è a mala pena ristabilito verso le 12, il P.C. del battaglione si stabilisce al Comune di Castel San Pietro. Nelle strade la popolazione accoglie calorosamente i gloriosi liberatori. Il sindaco è invitato a pregare le donne di non distribuire copiosamente vino ai giovani africani; quanto alle “ragazze” troppo stuzzicanti vestite in ghingheri faranno bene a non prodigare troppi sorrisi che potrebbero essere male interpretati. La strada torna calma e il battaglione può insediarsi secondo tutte le regole della stretta disciplina..

LI FUCILAMMO

«I tedeschi si erano già accomodati. Avevano messo una pentola sul fuoco, avevano preso delle galline, le avevano uccise ed attendevano che l’acqua bollisse per affogarle onde spennarle. Tra gli anfratti, a circa cinquanta metri dalla casetta, resomi conto di come stavano le cose, feci cenno alla nostra guida di tenersi da parte, mentre feci cenno ai russi di avanzare cauti a semicerchio. Io ero al centro. Ci accostammo strisciando a terra per non essere visti. A circa dieci metri, balzai in avanti gridando l’alt, al che fecero seguito immediato i russi. I tedeschi, sorpresi ,alzarono le mani. Solo uno tentò di reagire, ma un russo, con il calcio del mitra, un altro po’ gli faceva saltare il mento. Furono disarmati; poi ,attraverso una gola, li conducemmo sotto la montagna e là li fucilammo.

Siccome in quel punto alcuni carbonai stavano facendo del carbone a legna, li gettammo dentro quella fornace (naturalmente i carbonai, intanto che nella fornace maturava il carbone, tagliavano il bosco altrove, sicché non videro e non seppero nulla). Per ogni precauzione, sapendo che a Palestrina – cioè nel territorio di Palestrina – la situazione si era andata rendendo pesante e poteva esplodere da un momento all’altro contro la popolazione stessa, e poiché quel punto era proprio a due passi da Palestrina, volli fare qualcosa in più: feci, ovvero facemmo, scomparire anche ogni traccia di sangue. Ciò fu provvidenziale, perché la mattina dopo, quella zona fu setacciata palmo a palmo. Si pensi a cosa sarebbe accaduto se non avessimo fatto sparire tutto, se quindi avessero solo avuto sentore di quel che era successo».

Bersini – testimonianza diretta –

PER LA MACCHIA

Il racconto della guerra – Clementina Di Domenicantonio e Giuseppe Nardi – nati a Castel San Pietro Romano – classe 1929 e 1926 – contadini – sposati con tre figli – Comune di Castel San Pietro Romano.

PROMISCUITA’

Promiscuità

“Ho organizzato un collegamento con Palestrina durante il giorno trascorro molte ore insieme con i russi con qualcuno di loro perlustro un po’ la zona per vedere se è possibile compilare qualcosa di buono alla sera ritorno a Castel San Pietro ove mangio e dormo in casa di un povero calzolaio un compagno che mi ha accolto con quella generosa larghezza propria degli umili divide con me cibo e letto, lui dorme al centro sono io da un lato io dall’altro ai piedi tra gli spazi vuoti dorme il figlio un bambino di cinque o sei anni..”