Giuseppe Emilio D’Amico nasce a Genazzano nel 1904 da una famiglia di contadini. Nel ’21 si iscrive al neonato P.C.I. di Gramsci. Con l’instaurazione della dittatura fascista, a causa del suo attivismo nel partito, è costretto a vivere sempre in allarme.. Lavora presso il mulino Raganelli, ricca famiglia di proprietari terrieri, di Genazzano e subito fa notare le ingiustizie subite da lui e dai suoi colleghi al Mulino. Inizia la guerra ed Emilio si attiva nella propaganda antifascista, insieme ad altri “compagni” ascoltando radio Londra. Nel luglio del ’43, dopo l’arresto di Mussolini, intensifica ancor di più l’attività di propaganda, per cui Raganelli, temendo un’ondata di scioperi nei suoi stabilimenti, lo licenzia. L’8 settembre del ’43 i genazzanesi festeggiano in piazza l’evento ed in quella occasione D’Amico incontra Virgilio Raganelli e tra i due si accende una violenta lite. Da questo momento in poi inizia la clandestinità di Giuseppe Emilio D’Amico, l’accusa di lite violenta è solo il pretesto per poter eliminare un personaggio scomodo. La situazione peggiora ulteriormente con l’occupazione del paese da parte dei tedeschi. Egli continua comunque la sua attività partigiana nascosto nelle campagne della “Selva”, nel casolare di famiglia…
I suoi amici e compagni, intanto, incontrandolo di nascosto ricevono le direttive per le varie azioni e soprattutto per il reperimento delle armi che vengono distribuite e scambiate con gli altri gruppi combattenti. Ormai le sue visite a casa sono rare, i fascisti e i tedeschi lo cercano ovunque, sua nipote ogni giorno gli porta un po’ di cibo e messaggi di ogni genere. La mattina del 24 novembre del ’43, una delle poche volte che decide di tornare a casa per salutare la madre, gli è fatale. Una donna del paese che è in stretto contatto con i fascisti e i tedeschi lo fa arrestare…
Da questo momento in poi D’Amico è in mano ai tedeschi e nessuno lo rivedrà mai più. I compagni della “ Selva ”, informati dell’accaduto, subito si attivano per organizzare un agguato alla camionetta che lo trasferisce a Regina Coeli ma i tedeschi, intuendo un possibile attacco, non passano per Palestrina ma per Tivoli e il piano della sua liberazione fallisce.
Emilio viene condotto a Roma al 3° braccio di Regina Coeli e d’ora in avanti di lui si perdono le tracce. I detenuti di questo braccio, infatti, non vengono iscritti nei registri e nessun secondino o poliziotto italiano vi ha accesso, qui Kappler. Sui giorni della sua detenzione non sappiamo nulla. Il 24 marzo alle ore 14.00, insieme ad altri detenuti, viene fatto salire sul camion che lo conduce alle Fosse Ardeatine. Con altre 334 persone Emilio D’Amico condivide un viaggio senza ritorno. Viene fatto scendere dal camion con le mani legate dietro la schiena, condotto nelle gallerie e ucciso con un colpo alla nuca. Giuseppe Emilio D’Amico viene riconosciuto nel settembre del ’44 tra le vittime delle Fosse Ardeatine. Il suo corpo giace nella bara numero 319.