La vita delgi sfollati si svolgeva sempre tra I pericoli piu gravi; si giocava sempre la vita. La nostra famiglia, insieme a quella di un nostro fratello sfollato da Littoria, si era rifugiata sui monti nel podere di un parente .. a Valenza. Dopo alcuni giorni, quando fummo certi che le cose si sarebbero protratte per molto tempo, pensammo ad un luogo che ofrisse quclhe comodita. Avevamo notato che gli aerei sorvolavano il paesello di Rocca di Cave quasi senza curarsene. Pensammo che sarebbe stato un buon rifugio. All’alba di una limpida mattina dei primi di Febbraio partirono alla volta del paese alpestre nostro fratello e nostro figlio Gianni, appena quinicenne, per accertarsi che lassu si stesse tranquilli…Tornarono entusiasti: nel borgo montano regnava la massima tranquillita, viverei sufficienti, case ospitali e tutti ci conoscevano. Si decise di tarsferirci l’indomani nel piccolo centro, ove nostro fratello, il giorno innanzi, aveva affittato un appartamento di nuova costruzione. La piccola carovana partì all’alba del giorno successivo: masserizie e bambini su di un carro, gli adulti a piedi. Li accompagnava Giuliano, un giovane nipote robusto e pieno di coraggio. Noi li avremmo raggiunti nei giorni appresso. Gianni non volle seguirli; alla strada rotabile preferi’ la mulattiera per la quale avrebbe raggiunto Rocca di cave nel pomeriggio. Alle tredici circa, infatti, accompagnammo, insieme alla zia Maria, il giovanetto fino all’inizio della boscaglia, che digrada sul torrente sotto la torre bianca posta sulla collina che domina il podere Clementi. Ci fermammo in una radura da dove si osservava un buon tratto della mulattiera al di la del letto sassoso. Si era d’accordo che Gianni, giunto sotto un grosso castagno, avrebbe fatto un cenno convenzionale.
Attendemmo qualche tempo. poco dopo udimmo un crepitar di fucilate e qualche tonfo di bombe a mano. Trasalimmo e pensammo che il giovane sarebbe tornato indietro. Rimanemmo fine all’imbrunire. Nulla
La mattina successiva, all’alba, come d’accordo, nostro nipote Giuliano si avvio’ al piccolo al piccolo borgo per recar degli oggetti allo zio. Circa mezzogiorno torno’ annunciandoci che non era potuto penetrare nel paese, perche’ circondato dai tedeschi. La notizia ci sconvolse: immediatamente ci avviammo per la mulattiera verso Rocca di cave, senza pensare che al pericolo che incombeva sui cari. Ci precedeva Giuliano.
Mentre, incuranti della fatica, salivamo per l’erta, vedemmo una fila di automezzi tedeschi che scendevano lentamente per la carrozzabile, che dal luogo montano conduce a Cave. Pensammo che tutto fosse finito: quegli autocarri certamente trasportavano chi sa dove i giovani rinvenuti nel paese. Giunti ai piedi dell’ultimo tratto della mulattiera vedemmo sopra di noi affacciarsi dalle rocce Giuliano e Gianni, che ci raggiunsero subito. Tornammo al casolare che il sole era gia’ tramontato.
Gianni raccontò. Mentre attraversava la boscaglia, aveva inteso i colpi ed era stato incerto se proseguire o tornare indietro. Era ricorso al gettito di una moneta: secondo l’emblema che sarebbe apparso, avrebbe continuato o avrebbe preso la via del ritorno. Secondo indicò la sorte, andò innanzi evitando la mulattiera e, per sentieri appena tracciati tra le rocce, raggiunse Rocca di cave.
Giunto nei pressi dell’abitato, incontrò alcuni giovani che fuggivano, inseguiti dai tedeschi che sparavano contro di loro. Scavalcarono il muro di cinta del cimitero, li segui; si calarono in una tomba ed egli con loro. La pietra rimossa ricadde sui fuggiaschi, che si trovarono tra le bare. Sulle teste si sentiva il calpestio dei tedeschi che li cercavano affannosamente. A notte alta, quando non si sentivano piu’ i rumori, i giovani uscirono dal macabro rifugio ed egli si avvio’ verso la casa ove era lo zio…