«Il coprifuoco, dalle ore 20:30, ora legale, passa alle ore 18 per punizione. Regolarmente, durante il coprifuoco, passa la ronda composta da due soldati tedeschi, che si sentono da lontano per il rumore sordo e cadenzato delle loro scarpe chiodate. Avverto subito un senso di oppressione, di annullamento della mia dignità umana, e di mancanza di libertà».
CI ACCHIAPPANO!
«Si sente questo grido. Si scappa dove si può. Ci troviamo nel pianerottolo davanti a casa, quando un tedesco dall’orto di San Figlia si mette a gridare. Fuga precipitosa dentro casa, chiusura della porta. Il tedesco, con un salto nell’orto spara un colpo di rivoltella. Si precipita verso la nostra porta: tenta di aprire. Intanto ognuno si cerca un nascondiglio. Ma il “barbaro”, visto tutto chiuso discende le scale e torna sulla strada».
INCONTRO CON ALDO FINZI
«Oggi ho fatto conoscenza con Aldo Finzi, colui che era sottosegretario agli interni all’epoca del delitto Matteotti. Sapevo che egli riforniva i russi di viveri e di tabacco, ma ero stato sconsigliato di avvicinarlo per via del suo passato. Però, la situazione oggi è tale da non permettere di andare tanto per li sottile. L’impressione prodottami da quest’uomo alto, distinto, affabile nei modi e suadente nel parlare, è stata buona. Gli ho spiegato le nostre necessità. Ha promesso che intensificherà il rifornimento e che si manterrà in continuo contatto con noi, per darci notizie sui movimenti delle truppe tedesche. La sua bella villa è quasi tutta occupata da un comando tedesco. Gli chiedo come mai vi rimanga. Alza le spalle: – Se scapassi sarebbe peggio. Stando qui posso almeno aiutarvi. Non credo che si accorgeranno della mia attvita – ».
Levi Cavaglione, Testimone diretto
VENDETTA
«Passiamo davanti una casetta di contadini nascosta, nel verde di un’insenatura ai piedi della collina. Una donna sta piangendo sull’aia. Un vecchio è seduto su un sasso con la testa fra le mani.
– Cosa è successo? -chiediamo.
– I tedeschi – risponde e accenna all’interno della casa. L’umile armadio è sfondato; sul pavimento di mattonelle rossastri biancheggiano a mucchi cocci di stoviglie, le gambe delle sedie del tavolo sono state divelte, le lenzuola e le coperte del letto strappati; lo specchio infranto, le pentole fracassate. Una distruzione stupida e malvagia di oggetti utili solo alla povera vita dei contadini.
-Perché hanno fatto questo?
– Hanno chiesto del vino. Noi non ne abbiamo. Gliel’ho detto e allora ci sono infuriati. Mi hanno picchiato e poi hanno combinato questo macello.
– Quanti erano?
– Quattro.
– Da che parte sono andati?
Il contadino ci indica la direzione che hanno preso. Sono saliti lungo la mulattiera che, a mezzacosta della collina, porta la strada Palestrina-Castel San Pietro. Decidiamo di salire in diagonale attraverso la macchia, cercando di tagliar loro la strada. Io e Sergio abbiamo la rivoltella, Wassily ha sotto la giacca una pistola mitragliatrice. L’acre desiderio di vendicare l’ingiustizia ci fa tirare a tutta andatura in salita tra gli arbusti e cespugli. Non parliamo per risparmiare fiato. Nonostante il freddo, il sole già alto nel cielo splende e ci fa sudare. Improvvisamente, dal gomito della mulattiera, sbucano i quattro tedeschi. A due a due, cantando allegramente, le giacche sbottonatane, i visi arrossati. I loro sguardi si incrociano con i nostri con sorpresa. Smettono di cantare, si irrigidiscono, assumono un’aria torva e strafottente. Fulmineamente io e Sergio estraiamo le rivoltelle. Tiriamo deciso nel gruppo che si scompone. Uno porta le mani allo stomaco con un muggito di dolore, si piega su se stesso e cade con la faccia in avanti. Gli altri estraggono le rivoltelle e sparano a loro volta. La mia rivoltella tira con meravigliosa regolarità. Un altro tedesco si affloscia al suolo. Falciati dalla pistola mitragliatrice di Waissily, i due tedeschi superstiti si controcono con rigide mosse da burattini e si abbattono al suolo».
NON C’ERA PIÙ UN TEDESCO
«Questo incubo dopo qualche giorno svanì; le batterie tedesche si allontanavano nel piano e di notte si dileguavano, come la contraerea che non batteva più. Il rombo dei cannoni alleati diveniva più rado. Silenzio nella pianura. Qualche sussulto di mine, il rombo dei caccia che passavano alti. A Palestrina, avevano visto gli inglesi e ricevuto delle sigarette! Eravamo fuori della tempesta! Le persone commentavano il fausto avvenimento. Tutti – nel segreto del cuore – ringraziavamo il Signore. Giungevano le avanguardie degli anglo-americani composte da marocchini, francesi, tunisini, etc. etc. Si poteva respirare un po’, ma ancora i colpi di cannone ed i rumori degli aeroplani facevano paura. Nel pomeriggio, si fecero i primi sondaggi per il recupero delle salme sepolte nei rifugi».
«4 giugno. Circa mezzanotte. Non vi era a Palestrina più un soldato tedesco. 4 giugno, ore otto antimeridiane, Marocchini ed i neri dell’Africa, inglesi, francesi, americani, canadesi, australiani: entrata degli alleati. Non sono entrati prima perché credevano che i tedeschi fossero numerosi. I cittadini hanno ricevuto i nuovi arrivati con compostezza. Distribuivano caramelle, cioccolatini, sigarette, tabacchi, scatolame; ma nessun affollamento se non di bambini».
TRISTE RISVEGLIO
Dalle note del giovane Puliti
«9 giugno 1944: finalmente ho la forza di riprendere in mano una matita e mi accingo a scrivere. Quanti disagi, avventure, rischi, spasimi! Come per incanto sembra tutto finito, tutto consumato. Ma la crudeltà e l’asprezza della lotta è su ogni più piccola zolla di terra, sui segni di ogni muro avulso dagli altri e miracolosamente in piedi e sul volto di ogni persona che, muta e pallida in viso, esce dalle caverne, dove ha dimorato da più giorni. E ovunque pianto e lacrime, ovunque miseria e fame. La gente rediviva fissa con le pupille dilatate e con accento interrogativo le persone amiche e non amiche e sente e non crede ai propri occhi. No, non può credere, perché non sa la persona che guarda, come essa stessa possa essere sopravvissuta a tale massacro.
” E tu come stai? Sei vivo? Dove sei stato rifugiato? Anche lei è morta? Lui è ferito? Come è stato?”. Mille esclamazioni, mille domande e mille risposte. E ci sembra quasi di essere indegni di vivere. Ogni tasto, ogni rudero, ogni maceria, ogni parola ci ricorda; ed il ricordo è vivo perché abbiamo sempre davanti gli occhi la cruda, terribilmente cruda, realtà delle cose; Vediamo la nostra fiorente città ridotta in un cumulo di macerie. Sotto ogni maceria c’è un nostro fratello, un nostro parente, un nostro amico, il nostro concittadino; e non si può fare a meno di piangere, di piangere coloro che hanno espiato per noi, coloro che han purificato col loro sangue la nostra Palestrina. E noi dobbiamo essere degni del loro sacrificio! Redimerci. Redimerci bisogna se non vogliamo cadere nel più profondo abisso e nella più deprimente miseria. Sul delizioso pendio, ove vi ergeva ostentando le sue bellezze, la nostra città, ora non vi sono che sassi incomposti e scheletri di case. La cruda realtà è arida e fredda come gli stessi sassi; nelle nostre anime provate e finite non vi son altro che ricordi vivi, rimorsi, ferite da rimarginare. Ma bisogna anche ricostruire la nostra città. Come ricostruire bisogna su nuove basi lo spirito. La vita riprende timidamente il suo ritmo. siamo grati a Dio del dono della conservazione della carne».
IL MANIFESTO
«È stato oggi affisso per le vie cittadine un manifesto della Sezione di Palestrina del Partito Fascista Repubblicano, costituisi in data 28 Ottobre 1943. Con un occhio al futuro ed uno al passato, quando il 22 Maggio 1924, il Commissario prefettizio Steno Pelatti, aderendo alle richieste pervenutagli da parte della grande maggioranza della popolazione, aveva deliberato di conferire a S. E. Mussolini la cittadinanza prenestina. E di inviargli una pergamena che recitava: “Dagli storici Monti che guardano a Roma, Palestrina, l’Antica Preneste che fu la culla al sommo Pierluigi, oggi ritemprata dalla giovinezza della nuova italianità, plaude ammiratrice entusiasta a S. E. Benito Mussolini e lo crea e lo esalta suo Cittadino Onorario per averlo anche più da presso ed esprimergli in ogni ora il suo affetto e la sua venerazione come al più grande restauratore della nostra Italia diletta».
ARRIVANO I TEDESCHI
Con l’avvicinarsi del fronte bellico, Palestrina divenne un presidio delle truppe tedesche. Di certo, non venute in città in veste di turisti – a guisa dei loro connazionali Mann – ma per istallarvi: il comando delle operazioni e tre ospedali militari, ubicati nel nuovissimo palazzo Lulli, nell’edificio scolastico in viale della Vittoria e nel Seminario Vescovile, nella piazza principale. Gli abitanti sotto alcuni aspetti furono fiduciosi: la città-ospedale non sarebbe mai bombardata, entrava nelle regole di Ginevra e si era consolidata l’idea che Palestrina divenisse una “città aperta”. In verità, questi luoghi servivano a ospitare i soldati provenienti dal fronte di Cassino.
Alcuni reparti militari, affranti dalla fatica, arrivarono a Palestrina il pomeriggio del 21 gennaio 1944. Un ufficiale tedesco entrò in seminario e giunse all’ultimo piano dove i pochi seminaristi erano intenti a studiare e con voce imperiosa ordinò a tutti di scendere in piazza. Tra il panico scesi anche io. Dovemmo scaricare dagli automezzi: zaini, coperte, casse pesanti, armamenti. A sera sfiniti, tornammo a casa e i nostri genitori constatarono che eravamo pieni di pidocchi dalla testa ai piedi. Ci dovemmo assoggettare a essere spogliati anche degli indumenti più intimi. Nel nostro bagno c’era già la vasca smaltata e mi fecero un lavaggio caldissimo e una disinfestazione della testa con lozione a base di petrolio. Cominciò così la nosta odissea.
SPEGNEVANO TUTTE LE STELLE del CIELO..
.. i tedeschi, anche se cominciavano a dare segni di voler “togliere le tende”, assicurandosi la sicurezza di una zona di transito verso nord ed evacuando quasi totalmente il paese, continuavano nella loro “operazione Todt”. Questa consisteva nel reclutare tra la popolazione, quasi sempre attraverso rastrellamenti più o meno imponenti poiché la maggior parte degli inviti (anche allettanti) non producevano alcun effetto, persone idonee al lavoro.
La manodopera forzata, veniva per la maggior parte spostata proprio al fronte, parte di questa, era inoltre destinata allo scarico – carico di munizioni che dalle retrovie (e Palestrina ne era una di vitale importanza) venivano spedite in prima linea.
L’ultimo giorno per la presentazione dei giovani al servizio obbligatorio al lavoro, era scaduto il 25 settembre 1943, ma quelli che spontaneamente andarono a lavorare con i tedeschi, lo fecero soltanto alcuni mesi dopo: a dicembre e gennaio. Questi giovani venivano caricati nella piazza centrale del paese su dei camion e, per la maggior parte, inviati in una casa colonica situata lungo la strada che unisce Palestrina a Valmontone; qui divisi in gruppetti di cinque o sei erano per lo più addetti allo scarico – carico delle munizioni che erano destinate al fronte.
Le persone che lavoravano per i nazisti, non potevano essere considerati dei collaborazionisti, ma in un periodo di sofferenza e fame, dovevano in qualche modo sopravvivere e fu così che il lavoro per i tedeschi divenne un’opportunità per andare avanti, dato che molti mestieri, che prima garantivano un sostentamento, ora era impossibile farli per mancanza di richiesta o di materie prime.
Infatti molti giovani, ormai stanchi di nascondersi, privi di sostentamento per sé e per le loro famiglie, videro nel lavoro ben retribuito dai tedeschi (i lavoratori percepivano oltre al vitto, lo stesso dei militari germanici, cinquanta lire e cinque sigarette al giorno), un modo per tirare avanti in una situazione al limite della povertà e della fame.
La maggior parte delle storie di queste persone sono state portate via dal fiume del tempo, dimenticate; ma la storia di due ragazzi Luigi Del Monaco e Luigi Consoli, si sono impresse a fuoco nella storia di Palestrina e nella mente dei cittadini, che ancora oggi li ricordano con viva commozione.
Luigi Consoli, sorpreso dopo l’8 settembre a Palestrina, poiché era in convalescenza per una pleurite contratta mentre come fante era di stanza a Foggia, era rimasto, come sarto, senza lavoro e, stanco di nascondersi ai continui rastrellamenti, per non gravare sulla famiglia, che comprendeva altri due fratelli minori, decise di andare a lavorare per i tedeschi.
Lo stesso fece, insieme ad altri ragazzi, il suo collega, amico e coetaneo (aveva come il Consoli ventuno anni), Luigi Del Monaco. Quest’ultimo era originario di Maddaloni, ma ormai viveva da tempo con la sua famiglia a Palestrina.
I due ragazzi vennero impiegati nello scarico e carico di grossi proiettili di cannone e munizionamenti vari lungo la strada che Palestrina – Valmontone; infatti qui, come abbiamo avuto modo di sottolineare, nella zona di Quadrelle, presso il casale di Finzi, c’era un grande deposito tedesco .
Questo deposito, che veniva rifornito di armi e munizioni provenienti dalla stazione ferroviaria di Palestrina situata sulla linea Roma – Napoli, era molto importante per il sostentamento della macchina bellica nazista attestata sulla “Gustav” a Cassino.
Molte di queste munizioni inviate al fronte risultavano difettose, non esplodevano e questo insospettiva e preoccupava i tedeschi, che ormai la prolungata guerra aveva messi alle strette.
Il difetto (la manomissione, ovviamente) di questi armamenti si produceva a Quadrelle: i due giovani, infatti, svuotavano della polvere le sacchette di seta – per impossessarsene – che servivano da carica di lancio per le grosse bombe .
I due giovani vennero colti sul fatto e immediatamente arrestati, furono condotti e rinchiusi in una stanza del casale sotto la grave accusa di sabotaggio.
Lo stesso giorno in cui Consoli e Del Monaco vennero arrestati, la Gestapo fece irruzione nelle loro case alla ricerca di prove della sistematicità dei loro sabotaggi, ma non trovarono nulla.
Le prove che inchiodarono i due giovani vennero rinvenite nella casa colonica della fidanzata (prima interrogata e poi rilasciata) di Luigi Consoli.
In questa abitazione, dopo un’attenta perquisizione, i tedeschi trovarono degli indumenti intimi fatti con la stessa seta delle cariche che venivano sottratte dalle bombe.
Il Bandiera riporta un’interessante tesi riguardo la situazione di uno dei due ragazzi:
“Almeno per il Consoli è da ritenere che ci sia stata l’intenzione di sabotare, e questo non tanto per ciò che risulta dai documenti ufficiali rimessi dal Comitato di liberazione di Palestrina alla commissione regionale per il riconoscimento di partigiani e patrioti, quanto per la testimonianza di un suo amico vivente: ‘…non solo prendemmo quella seta, ma asportammo anche molte bombe a mano per darle a quelli del Gruppo Patrioti Preneste’ ”.
Dopo che i genitori dei giovani tentarono, contattando lo stesso giorno dell’arresto l’ex datore di lavoro dei loro figli, di rimediare alla difficile situazione, dovettero rendersi conto che c’era poco da fare: l’accusa di sabotaggio era un grave reato per i tedeschi.
Ogni giorno le stesse famiglie, tramite fratelli o sorelle dei prigionieri, inviavano qualcosa da mangiare ai ragazzi tenuti sempre prigionieri nel casale.
Durante la loro detenzione (erano passati pochi giorni dal loro arresto) avvenne il primo bombardamento di Palestrina (22 gennaio 1944).
In quel bombardamento, che colpì il centro del paese, rimasero uccisi padre, tre sorelle, cognato e due nipoti di Del Monaco, già orfano di madre.
Il giorno dopo i due vennero a sapere cosa era successo, Del Monaco era disperato.
I giovani chiesero al maresciallo tedesco di poter essere portati al paese per prestare soccorso ai parenti e scavare tra le macerie per almeno rinvenire i corpi .
La loro richiesta venne accolta e gli fu concesso di recarsi a Palestrina.
I giovani vennero accompagnati, per tutto il tragitto che fecero a piedi, da un militare armato di pistola.
Anche se qualcuno gli suggerì e tra loro si suggerirono la fuga i due, chi perché distrutto dalla perdita della famiglia, chi per non mettere in pericolo la propria , non fuggirono ed andarono così incontro al loro destino.
Verso la fine di gennaio, Enrico, fratello minore del Consoli, si recò come era sua abitudine, dove erano tenuti prigionieri i giovani: non lì trovò più e i soldati non gli diedero alcuna notizia.
La famiglia non seppe più nulla.
Soltanto dopo molto tempo furono informati di quello che era accaduto, tramite una lettera recapitata alla famiglia Consoli. Quella lettera era stata scritta dal parroco della chiesa della S.S. Annunziata di Tagliacozzo (AQ), Don Luigi Lucidi.
Ecco la rievocazione che, di quel tragico fatto, fece il parroco il primo maggio 1945 e che viene riportata da Luigi Bandiera nel libro 11 + 11 l’eccidio degli “undici martiri” di Palestrina ed altri avvenimenti del 1944:
“Un rito sacro di religione e di patriottismo ci ha chiamati in questo primo giorno di maggio davanti a questo monumento,dove da oggi in poi sono incisi due nuovi nomi: Luigi Consoli e Luigi Del Monaco, che accrescono l’albo glorioso dei nostri caduti.
A questo rito che parla da se stesso al cuore di noi tutti, a me sacerdote e italiano, che i due giovani ho assistito, è stato affidato il compito delicato ed emozionante di rievocare il loro sacrificio estremo.
Non sono qui a fare dell’epopea ma una semplice cronistoria del fatto.
Entrambi, i cittadini di Palestrina, per quanto il Del Monaco fosse nato a Maddaloni, sembra che una sorte comune li abbia voluti legati per la vita e per la morte.
Alla costituzione fisica piuttosto robusta e al carattere cupo, melanconico e taciturno di Del Monaco,faceva riscontro la salute infermiccia e la semplicità, starei per dire, fanciullesca del Consoli.
Quale sia stato il nostro incontro di quella notte tragica, né io né loro potremmo mai dimenticare. La mia preoccupazione, la mia perplessità ed ansia sul modo di contenermi e sulle parole da rivolgere loro fu presto dissipata, perché tra noi tre si stabilì immediatamente una corrente di simpatia, di amicizia, di fratellanza che diede loro la forza della rassegnazione cristiana ed a me di saperli cristianamente assistere. Grande ministero quello del sacerdote che, unico, sa dare il conforto anche a chi, nel fiore della vita è trascinato innocente, come erano i due giovani a morte violenta!
Poiché erano legati,riuscii a farli sciogliere e dividere per ascoltare la loro confessione, che fecero con la maggiore serenità di spirito e con edificante pietà ricevettero pure la Santa Comunione.
Saremmo voluti restare a lungo a colloquio, ma la rabbia nazista, che già più volte aveva insistito di deciderci, alla fine ruppe ogni indugio, e si dové andare.
scii per primo, mentre i giovani venivano nuovamente legati e fattomi avanti a più tedeschi che attendevano sulla porta, volli patrocinare la loro causa.
Ma uno di loro, dandomi a leggere la sentenza emessa dal tribunale militare tedesco di Tagliacozzo il 30 gennaio e la domanda di grazia respinta e firmata da Kesserling, aggiunse: «Ecco è inappellabile ».
E lo fu realmente, perché a nulla valsero le preghiere, le suppliche le lagrime, a nulla il tentativo di fuga del Consoli che cadde presto sulla neve, non certo per mancanza di forze, ma quasi fulminato dalla viltà di chi dietro gli grido: «Vigliacco, ora il momento è solenne» :
Consoli, bendato, e già legato al palo. Mentre c’è chi spavaldamente gli legge la sentenza e poi passa a dare le ultime istruzioni al plotone di esecuzione,egli ha la testa reclinata sul mio petto e risponde alle preghiere che gli suggerisco: alla domanda se abbia ancora qualche cosa da dire e da far sapere ai suoi famigliari, risponde: «Di’ alla mia famiglia che l’ho sempre amata e più l’amerò presto in Cielo. Lo stesso di’ alla mia fidanzata. Padre, io sono innocente; accetto la morte in sconto delle mie e delle colpe di tutti gli italiani».
Un’ ultima prece, un ultimo bacio sulla fronte di un fanciullo e la mitraglia lo rende cadavere.
Ma nel cielo echeggia un grido, l’ultimo suo grido «Dio mio bello», non spento neppure dalla voce disumana di chi volle profanare quell’istante solenne con l’insulto«Giustizia è fatta»…
Allo stesso palo seguì Del Monaco, che senza un lamento, abbracciò la morte con la fortezza dei martiri e degli eroi.
Le prime luci del 23 febbraio 1944 spegnevano in quel momento tutte le stelle del cielo….
IL PICCOLO ALDO
Sotto le rovine del Palazzo Bernardini, nei pressi della chiesa di Sant’Anotonio, erano periti due giovani sposi: Cristofari Mario e Maria Norca. Avevanoun bambino, Aldo, di appena sei mesi. Le loro salme vennero pietosamente raccolte sotto le rovine e composte nelle bare nei giorni seguenti. Del piccolo Aldo, nessuna traccia. si fecereo affannose ricerche: nulla, nessuno seppe darne notizie. Sei anni dopo, una giovane che prestava servizio presso l’orfanotrofio di Via Fabbrizi, in Roma, comunicava ai parenti che il 23 Gennaio 1944 era stato ricoverato nell Ístituto un bambino biondo, dagli occhi azzurrri, raccolto presso le rovine di una casa di Palestrina. I congiunti del piccolo Aldo si affrettarono a raggiungere l’Orfanotrofio e riconscevano nel fanciullo il bambino scomparso che nel frattempo era stato alle cure dei coniugi Campi. Quali mani pietose avevano raccolto il bambino, che vagiva tar le rovine, e lo avevano portato nel io luogo? forse un soldato germanico aveva pensato ai suoi bimbi lintani ed aevva salvato la piccola vittima? “