Dalle note del giovane Puliti

«9 giugno 1944: finalmente ho la forza di riprendere in mano una matita e mi accingo a scrivere. Quanti disagi, avventure, rischi, spasimi! Come per incanto sembra tutto finito, tutto consumato. Ma la crudeltà e l’asprezza della lotta è su ogni più piccola zolla di terra, sui segni di ogni muro avulso dagli altri e miracolosamente in piedi e sul volto di ogni persona che, muta e pallida in viso, esce dalle caverne, dove ha dimorato da più giorni. E ovunque pianto e lacrime, ovunque miseria e fame. La gente rediviva fissa con le pupille dilatate e con accento interrogativo le persone amiche e non amiche e sente e non crede ai propri occhi. No, non può credere, perché non sa la persona che guarda, come essa stessa possa essere sopravvissuta a tale massacro.
” E tu come stai? Sei vivo? Dove sei stato rifugiato? Anche lei è morta? Lui è ferito? Come è stato?”. Mille esclamazioni, mille domande e mille risposte. E ci sembra quasi di essere indegni di vivere. Ogni tasto, ogni rudero, ogni maceria, ogni parola ci ricorda; ed il ricordo è vivo perché abbiamo sempre davanti gli occhi la cruda, terribilmente cruda, realtà delle cose; Vediamo la nostra fiorente città ridotta in un cumulo di macerie. Sotto ogni maceria c’è un nostro fratello, un nostro parente, un nostro amico, il nostro concittadino; e non si può fare a meno di piangere, di piangere coloro che hanno espiato per noi, coloro che han purificato col loro sangue la nostra Palestrina. E noi dobbiamo essere degni del loro sacrificio! Redimerci. Redimerci bisogna se non vogliamo cadere nel più profondo abisso e nella più deprimente miseria. Sul delizioso pendio, ove vi ergeva ostentando le sue bellezze, la nostra città, ora non vi sono che sassi incomposti e scheletri di case. La cruda realtà è arida e fredda come gli stessi sassi; nelle nostre anime provate e finite non vi son altro che ricordi vivi, rimorsi, ferite da rimarginare. Ma bisogna anche ricostruire la nostra città. Come ricostruire bisogna su nuove basi lo spirito. La vita riprende timidamente il suo ritmo. siamo grati a Dio del dono della conservazione della carne».