Si cercava un rifugio:
« Si pensò di salire ancora piu in alto – narra Giovanni Anelli – sulle montagne su un borgo di poche case e qualche centinaio di anime. Andammo in cerca di abitazione lassu’, prima i giovani. Marcia di crica due ore. Salimmo, salimmo fino alle nubi a circa milleduecento metri. Spettacolo meraviglioso! Diecine di cittadine, paesetti, borghi, villaggi si scorgevano sul piano appollaiati sui colli, a cavaliere delle valli. Lontano il tuonare del cannone; sapevamo dello sbraco sulla costa di Nettuno e di Anzio; una cinquantina di chilometri in linea d’aria, da noi. Un rombo di motore ci fece volgere di scatto e cosa strana, i bambini sulla stradina alta del paesino salutavano i piloti americani agitando le braccia, tranuiqlli! Era il 30 gennaio 1944.
Ci precipitammo dai nostri e narrammo. Ambiente tranquillo, acqua piovana, una casetta con soffitto da rifugiarci in 15 persone e roccie, roccie, roccie. Cominciò il via vai di muli, dei somarelli con qualche materasso, coperte, oggetti casalignhi e viveri. Il borgo deserto si popolò di povera gente senza tetto e di altra povera gente che divise coi nuovi arrivati il suo pezzo di pane nero, la sua acqua piovana e poi neve su neve. In soffitta, fu impossibile dormire. La neve ricopriva il nostro giaciglio, si trovò un’altra casa: era di un tubercolitico! Dopo pochi giorni, un’altra ancora, se non si voleva finir male. Trovato! Era una stanzetta osservatorio del curato, con aereometri, pluviometri ed acqua che filtrava da tutte le parti».