LA RETATA

La retata
La mattina del 13 febbraio del 1944 si presentarono presso il casale della vigna degli Aceto in contrada Lucino due uomini, un italiano che disse di essere sfuggito ai tedeschi ( in realtà era un collaborazionista dei tedeschi che aveva assunto un nome tedesco: Marcus Schuman) e un altro che l’italiano presentò come un ufficiale inglese fuggito da un campo di concentramento, impossibilitato a parlare a causa di una ferita sotto il mento. Vennero accolti e rifocillati e alla loro richiesta se nella zona vi fossero altri militari alleati con i quali potersi ricongiungersi , furono indirizzati verso Roiate, dove sembra ne fossero rifugiati un certo numero per la vicinanza alla montagna. Il giorno 15 febbraio, nel pomeriggio, nel casale della vigna degli Aceto si presentarono, rivoltelle alla mano, tre sottufficiali tedeschi , tra cui il falso inglese che era in realtà era un maresciallo nazista, sicuri della loro incolumità per le ingenti forze dislocate nei pressi del casale e per il presidio che da colle Cappellini sorvegliava ogni mossa. Uomini e donne che abitavano nel casale furono posti contro un muro mentre veniva effettuata una perquisizione nel casale. Fortunatamente non venne trovata una valigia contenente i veri documenti di alcuni ebrei che gli Aceto nascondevano e alcune armi sotto una credenza. Su indicazione del maresciallo nazista, con accusa di favoreggiamento verso gli inglesi, vennero arrestati Vincenzo e Sandro Aceto, Amleto e Quintino Carletti, Mario Pratesi e gli ebrei Alberto di Nepi con il figlio Piero, e Attilio di Nepi col figlio Walter (gli ebrei avevano false carte d’identità con il cognome Nati). Dopo giorni di prigionia e di lavori forzati, per interessamento di amici e doni al capitano Moser, essi furono liberati ad eccezione di Mario Pratesi e di Alberto di Nepi, il primo perché aveva indicate ii luogo dove si rifugiavano i militari alleati e sbandati e il secondo perché aveva cercato di farsi comprendere dal falso inglese parlando la sua lingua. Mario Pratesi fu spedito al campo di concentramento di Dachau e liberato dagli Anglo-Americani , riuscì a ritornare ad Olevano il 3giugno del 1945, dopo circa sedici mesi di prigionia. Alberto di Nepi, condotto nelle carceri di Regina Coeli, lasciò la vita nel massacro delle Fosse Ardeatine. Arrestati ad Olevano negli stessi giorni furono i fratelli ebrei Milano e il russo Boris Landesmann anche loro fucilati alle Fosse Ardeatine.

PROMISCUITA’

Promiscuità

“Ho organizzato un collegamento con Palestrina durante il giorno trascorro molte ore insieme con i russi con qualcuno di loro perlustro un po’ la zona per vedere se è possibile compilare qualcosa di buono alla sera ritorno a Castel San Pietro ove mangio e dormo in casa di un povero calzolaio un compagno che mi ha accolto con quella generosa larghezza propria degli umili divide con me cibo e letto, lui dorme al centro sono io da un lato io dall’altro ai piedi tra gli spazi vuoti dorme il figlio un bambino di cinque o sei anni..”

IL SOLITO RITORNELLO

Il solito ritornello

“..non sono risucito a combinare un accidente qui a Zagarolo e sono gia stufo di starci. Mancano le armi. Non ci sono giovinotti pronti a rischiare, come avevamo fatto nei Castelli, per procurarcele. Ovunque mi sento ripetere il solito ritornello. Tra poco gil Alleati arriveranno qui. Perche’dobbiamo esporci inutilmente al pericolo di rappressaglie? Piove: non ho giornali, non ho libri, non ci sono belle ragazze, la radio non funziona, gli antifascisti del luogo non vgoliono saperne di andare piu’ in la’ di improperi a bassa voce contro i tedeschi…queset giornate sono vuote e opache come tante trascorse al confino nell alenta noia delle ore che non passano mai. Domani lascero’ Zagarolo e andro’ a Castel San Pietro ove, se non altro, incontrero’i russi..”

L’IMBUTO

L'imbuto

… Qualche analogia c’è in questi due avvenimenti: oggi non si esce è tutti devono restare in casa… ieri avveniva l’oscuramento notturno della pubblica illuminazione e i vetri delle finestre si rivestivano con stoffa nera. Tutto ciò era necessario perchè gli aerei americani non potessero individuare i luoghi nevralgici per bombardarli durante la giornata del giorno seguente. Per accertarsi che tutti avevano compiuto tale ordine, imposto dalle autorità, in ogni rione, gli abitanti che avevano la terrazza utilizzavano un grande imbuto, che veniva usato per travasare il vino e, con voce stentorea, gridavano. “Luce!… Luce!… Luce!… Il loro appello, ampliato dall’imbuto, nel silenzio della notte, arrivava forte e chiaro sino alla Cortina.