L’INTERPRETE

« La bibliografia prenestina è ricca di testimonianze di falsi “eroi”. Tuttavia tra i diari, i ricordi e i romanzi, nessuno ha speso una parola per ricordare l’opera di Agusto Rossi, nipote di mamma Amelia, che rischiò tantissimo in situazioni difficilissime. Augusto parlava correttamente l’inglese e – dopo l’armistizio- era tornato a casa dall’Accademia Navale di Livorno, a Costa Mariola, zona di Castel S. Pietro, dove eravamo sfollati. Qui organizzò un piccolo centro di raccolta per i prigionieri fuggiti dai campi di concentramento e ebrei, ospitandoli in grotte e in capanne di pastori. Al calar della sera, i fuggitivi si avvicinavano al nostro fienile, facendo sentire la loro presenza attraverso un fischio convenzionale. Davamo loro tutto quello che Augusto aveva reperito durante il giorno ed io ero un piccolo vivandiere. La loro corrispondenza era consegnata al Consolato Svizzero, il quale provvedeva a farle arrivare a destinazione. Attraverso l’entratura in Vaticano conobbe mons, Hungh O’Flaherty, che in quel momento stava aiutando civili, perseguitati ebrei e militari evasi dalla prigionia alloggiandoli in conventi e nei poderi periferici di Roma. Le persone che salvò si calcola possano essere circa 6.500. Per questo, lo Stato Israelita e gli Stati Anglo-Americani a guerra ultimata, lo insegnì. E la sua storia fu raccontata in un film.

Quando gli americani entrarono a Palestrina, Augusto fu assunto come interprete nel quartier generale situato a villa Memmo. E proprio quel posto gli servì a salvare alcuni concittadini che si erano cacciati in situazioni alquanto “difficili”. Bill, uno dei militari aiutato da Augusto a Costa Mariola, riprese subito il suo ruolo di soldato. Ricordo che lo andammo a trovare ai Casini Barberini dove era accampato e dovetti bere una “cosa” calda che più nera non esisteva. Era la bevanda preferita. Di Augusto si potrebbe raccontare e raccontare, ma mi fermo qui ».

Tomassi, testimonianza diretta.

CAOS TOTALE

«Ore 9:30. Mentre scrivo questo diario il tremendo rumore della mitraglia mi fa abbandonare. Mi rannicchio in un angoletto e aspetto la fine. Momenti terribili e indimenticabili. La mitraglia fischia con il rumore metallico, le bombe esplodono fortissime. Passata un po’ la paura, andiamo a fare un giretto. A Palestrina, regna il pieno caos: chi fugge da una parte, chi grida, chi si lamenta. Quante scene pietose! Giungiamo in piazza Santa Maria degli Angeli. Qui i primi morti distesi in un lago di sangue: righettino il calzolaio e Licurgo, il figlio di Urbano, giacciono crivellati a terra. La piazza è un crivello, è tutta un buco. Giunti davanti alla porta della Bottega di Minicuccetto, troviamo Giovanni lo zoppo che giace a terra con un visibile buco nella nuca. È una giornata infernale. Centinaia di apparecchi di ogni genere sorvolano Il cielo in ogni direzione. Ci dicono del bombardamento di Capranica dove si calcolano molti morti, fra cui sei di Palestrina».

RESISTENZA E MORTE

Il 9 marzo i sovietici, dopo tanti trasferimenti e attacchi, sono accampati a Colle Ruzzano. All’alba del 9, alcuni contadini della zona di Castruccio salgono per avvertire che in una capanna ci sono alcuni moschetti che possono essere prelevati. Si decide di inviare in missione Wassilij Skorokjodov e Nicolaj Demiacenko. Alle 11 del mattino i due non erano ancora tornati. Si sentono improvvisamente crepitare raffiche di mitra. Subito sei o sette partigiani, tra cui: Boris, Pietro Iglikhin, Mikail Kasskiev, Anatolij Kurepin e Dante Bertini si accingono a raggiungere la località da dove provengono gli spari. Passando per una località detta Fontana Ona, una zona tra Gallicano e Poli, trovano Wassilij riverso a terra, trivellato di colpi, già morto. Di Nicolaj neppure una traccia. Cercano e lo trovano tra i cespugli, ferito gravemente a una gamba da una raffica di mitra. Un gruppo numeroso di tedeschi li aveva attaccati di sorpresa. Si affrettano per caricarsi Nicolaj sulle spalle, in ordine sparso risalgono verso la base di Colle Ruzzano, ma è già troppo tardi. Ecco sbucare da ogni parte i nazisti. Si accende una furiosa battaglia. Nicolaj è colpito di nuovo e muore. Anche Anatolij che chiude il gruppo è ucciso dai tedeschi. Il resto dei partigiani, dopo duro combattimento, riesce a sganciarsi. Molti sono i corpi dei tedeschi uccisi, ma oramai i tre partigiani sovietici morti si sono dovuti lasciare in mano al nemico. Per 3 giorni i nazisti rifiutano di dare la sepoltura a quei poveri corpi straziati. Poi finalmente, si riesce a strappare il consenso. Così presso Fontana Ona tre fosse vengono scavate e tre povere bare fatte di tavole messe insieme dagli stessi contadini vi vengono calate. Esse raccolgono i giovani corpi dei tre eroici soldati venuti a morire tra la nostra gente. Dopo la Liberazione le spoglie dei tre partigiani sovietici furono riesumate e tumulate nel cimitero di Palestrina dove loro sacrificio è ricordato da una lapide.

IL FAZZOLETTONE

«Il mio compito è cercare di procurare legna. Ma all’improvviso un grido:

– I tedeschi!!!

Zia Angelina non perde la calma, mi chiama, mi ordina di indossare il suo vestito e di mettermi un fazzolettone sul capo, mi dà un coltello e un cesto e mi ordina di andare a fare la cicoria. I tedeschi mi guardano e poi vanno via. Così mi salvai dal rischio di finire al fronte di Cassino o in Germania. Il cannone si fa sentire forte e incomincia a colpire i nodi stradali a pochi chilometri da Palestrina. Gli alleati a 13 km da Frosinone. Capranica bombardata per la seconda volta».

SPOSTARSI, SPOSTARSI SEMPRE

Bersini ricorda:

« La mia attività di partigiano ebbe inizio ai primi di ottobre del 1943. Odiavo i tedeschi per i soprusi e le razzie che facevano un po’ ovunque e per i rastrellamenti che già a settembre erano iniziati nella nostra zona. Inizialmente, fui un isolato. Venni a sapere che alcuni russi, già fuggiti da un campo di concentramento di Monterotondo, erano stati inviati a Zagarolo dal C. L. R. che aveva rapporti con loro. Il C. L. N. Prenestino disse ad esponenti del comitato di Zagarolo di prendere contatto con me. A me non parve vero! Era un’occasione insperata di costituire una banda che potesse finalmente attuare quelle azioni di guerriglia sabotaggi e di incursioni varie che soltanto una formazione di un certo numero di uomini, animati da fede e da coraggio, può mettere in atto. Non erano armati come si deve ma per azioni di sorpresa le armi erano sufficienti. Subito si sparse la notizia che con me c’erano dei russi. Siamo rimasti alle Tende per qualche tempo, quando però, specialmente dopo il primo bombardamento di Palestrina( 22 gennaio 1944) le campagne si popolarono di famiglie sfollate dalla cittadina, iniziammo a spostarci: adottai cioè ancora il metodo che avevo già sperimentato quando ero solo: spostarsi spesso per non cadere in agguati. Poi ci siamo portati a mezza costa sulla montagna… »

ARRIVANO I TEDESCHI

Con l’avvicinarsi del fronte bellico, Palestrina divenne un presidio delle truppe tedesche. Di certo, non venute in città in veste di turisti – a guisa dei loro connazionali Mann – ma per istallarvi: il comando delle operazioni e tre ospedali militari, ubicati nel nuovissimo palazzo Lulli, nell’edificio scolastico in viale della Vittoria e nel Seminario Vescovile, nella piazza principale. Gli abitanti sotto alcuni aspetti furono fiduciosi: la città-ospedale non sarebbe mai bombardata, entrava nelle regole di Ginevra e si era consolidata l’idea che Palestrina divenisse una “città aperta”. In verità, questi luoghi servivano a ospitare i soldati provenienti dal fronte di Cassino.
Alcuni reparti militari, affranti dalla fatica, arrivarono a Palestrina il pomeriggio del 21 gennaio 1944. Un ufficiale tedesco entrò in seminario e giunse all’ultimo piano dove i pochi seminaristi erano intenti a studiare e con voce imperiosa ordinò a tutti di scendere in piazza. Tra il panico scesi anche io. Dovemmo scaricare dagli automezzi: zaini, coperte, casse pesanti, armamenti. A sera sfiniti, tornammo a casa e i nostri genitori constatarono che eravamo pieni di pidocchi dalla testa ai piedi. Ci dovemmo assoggettare a essere spogliati anche degli indumenti più intimi. Nel nostro bagno c’era già la vasca smaltata e mi fecero un lavaggio caldissimo e una disinfestazione della testa con lozione a base di petrolio. Cominciò così la nosta odissea.

STIMARE IL NEMICO

L’ex segretario del Fascio (non repubblichino) Ugo De Rose – per il quale era stata decisa l’eliminazione – venne risparmiato grazie all’ opera di convinzione del capozona del P. C. Lucio Lena. Non poteva essere eliminato un uomo soltanto perché aveva creduto, in buona fede, ad un diverso, se pure criticabile, ideale politico. Tuttavia, De Rose nottetempo, mentre era sfollato a Guadagnolo con la propria famiglia in una casupola, venne prelevato da uomini armati. Ricorda la signora De Rose:

«Verso le 11 bussarono. Aprì mia madre e prelevarono mio marito, mentre i miei figli piangevano. Lo condussero giù per la scarpata che conduceva al santuario della Mentorella. Sapevo che era stata decisa la sua uccisione. Grazie a Dio, dopo un paio d’ore, mio marito ricomparve, non aveva subito violenze ma era molto provato. Dopo due giorni si presentò presso la casupola, ove stavamo sfollati, Bersini:

– Questa è la casa del segretario del fascio di Palestrina?

– Sì, è questa. Guardi come vive il segretario del Fascio.

Stavo cuocendo sulla brace l’ultima manciata del lievito rimastomi. Non avevo di che sfamare i miei figli e quella piccolissima focaccia l’avevo preparata per la minore delle mie figliole che piangeva perché aveva fame. Il capo partigiano restò impressionato e inaspettatamente ci fece portare un sacco di farina»

Prevalse quindi il buon senso e la vita di uno stimato funzionario (direttore dell’Ufficio delle imposte dirette) fu risparmiata grazie alla ferma volontà di chi, pur militando in parte avversa, non poteva avvallare un omicidio che non aveva nessuna motivazione se non quella dell’odio inconsulto.

I visi della disfatta

Verso le 14 Palestrina viene bombardata per la sesta volta. Le Casacce, il Seminario e la Cortina sono i punti maggiormente colpiti. Gli alleati con la loro avanzata, finalmente travolgente, occupano Artena puntando su Valmontone e Labico. Si spera che presto Palestrina sia liberata. Passano i tedeschi afflitti, avviliti, disarmati; portano sul viso i segni dello scoraggiamento e della disfatta. Mille voci si divulgano, ma per ora non si sa la verità. Gli alleati ancora non arrivano.

ESECUZIONE

Furono denunciati alla polizia fascista ed ai tedeschi molti politici appartenenti al Gruppo Preneste e al Gruppo Comunista. Il segretario del fascio, di lì a qualche giorno, perché ritenuto responsabile delle denunce, veniva ucciso da Dante Bersini e da due russi. Lo raggiunsero in tre a Castel San Pietro verso le 10 di sera, scesero attraverso la mulattiera fino ove essa si congiungeva con la via di Varoncio. Al ponticello di Monte Lisicchi gli spararono alla nuca. Lo trascinarono aldilà della mulattiera lo lasciarono inginocchiato e appoggiato ad una pietra con la mano destra alzata. Al mattino presto, fu trovato da alcuni contadini che si recavano in campagna ancora in quell’atteggiamento; il sangue gli si era ghiacciato sul viso.

I PASSI DELLA PAURA

«Il coprifuoco, dalle ore 20:30, ora legale, passa alle ore 18 per punizione. Regolarmente, durante il coprifuoco, passa la ronda composta da due soldati tedeschi, che si sentono da lontano per il rumore sordo e cadenzato delle loro scarpe chiodate. Avverto subito un senso di oppressione, di annullamento della mia dignità umana, e di mancanza di libertà».